20 maggio 1999 In via Salaria a Roma, le Brigate rosse uccidono Massimo D'ANTONA, collaboratore del Ministero del Lavoro, Docente di Diritto del Lavoro all'Università di Roma e consulente giuridico della CGIL.
Per l'omicidio del giuslavorista vengono rinviate a giudizio 17 persone: dieci di loro per banda armata e gli altri sette per banda armata e omicidio. Il primo processo si conclude il 1º marzo 2005 quando, il gup Luisanna Figliolia, condanna all'ergastolo Laura Proietti e a vent'anni di reclusione Cinzia Banelli, entrambe giudicate con il rito abbreviato.
L'8 luglio 2005, dopo 32 ore di camera di consiglio la Corte d'assise di Roma, presieduta da Marco D'Andria, emette il verdetto per gli altri brigatisti alla sbarra e condanna alla pena dell'ergastolo Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma.
Pene minori, invece, per gli altri componenti, tutti assolti dall'accusa di concorso nell'omicidio e ritenuti responsabili solo di associazione sovversiva: nove anni a Paolo Broccatelli, nove anni e sei mesi a Diana Blefari Melazzi, quattro anni e otto mesi Federica
Saraceni, cinque anni a Simone Boccaccini, cinque anni e sei mesi a Bruno Di Giovannangelo e a tutti i cosiddetti detenuti irriducibili che dal carcere di Trani avevano rivendicato l'omicidio: Michele Mazzei, Antonino Fosso, Francesco Donati e Franco Galloni.
Per Alessandro Costa, Roberto Badel e i fratelli Fabio e Maurizio Viscido c'è invece l'assoluzione.