(Fonte: Corriere della Sera, di Andrea Arzilli) – Sotto le frasche, vista Circo Massimo, Rogers Waters e Laura Pausini in sottofondo. La capanna di Porta Capena, a due passi dal Circo Massimo, è una delle tante storie di resilienza urbana. Ce ne sarebbero da raccontare circa 10-15 mila in tutta Roma, tanti sono i senza fissa dimora che la notte calda dell’estate la passano sotto le stelle o dentro un riparo di fortuna fatto di cartone, di plastica, di speranza o rassegnazione. «Non toccare niente, sennò Ariel te mena»: chi avverte il cronista è un amico di Ariel, il proprietario di questa casetta fatta accatastando di rami di pino sotto gli alberi dello spartitraffico, via delle Terme di Caracalla angolo via di San Gregorio. Potature messe insieme con perizia, il risultato è una sorta di canadese con il pavimento lastricato di cartone, un giaciglio pure vagamente ospitale.
I più fortunati
Qualche elemento di vita – una giacca blu appallottolata, scatolette di tonno, un brick svuotato dal vino bianco, un paio di buste di plastica – a raccontare il transito in questo angolo di Roma, il quotidiano di questa capanna a ore di cui Ariel rivendica il possesso, che però cede per qualche ora a chi gliela chiede con educazione, magari con un regalino da bere o mangiare. Da lì, da Porta Capena, sono passati in tanti negli ultimi mesi. I più fortunati hanno trovato riparo mentre al Circo Massimo i big della musica cantavano dal palco e i romani ballavano. Perché, di fatto, lo spazio viene sub-affittato in cambio di un pezzo di pane, un litro di vino o qualche sigaretta. Del resto un angolo così discreto, così perfettamente mimetizzato nonostante il traffico impazzito che dal Colosseo sale e scende per viale Aventino, ha grande valore.
I posti ambiti
E infatti, a quanto pare, Ariel non si tira indietro se c’è da difenderlo. Ma non è l’unico posto ambito della Capitale, ormai con il caldo diventata un enorme dormitorio all’aperto per chi non ha alternativa. Certo, il Piano Caldo del Campidoglio quest’anno è stato implementato di qualche posto letto, ad integrare il sistema ordinario di accoglienza ospita ogni giorno milletrecento persone e ne sfama duemila. Si capisce, però, che i numeri messi a disposizione dal Comune non sono sufficienti. Lo dice la matematica – di fatto c’è un letto «pubblico» per un solo un senza tetto su dieci – ma basta guardarsi intorno mentre si staziona nel traffico della Capitale per rendersene conto. Dalle Mura Aureliane al greto del Tevere (appena sgomberato dagli accampamenti abusivi in zona Ostiense): i senza fissa dimora sono tantissimi, invisibili eppure avvistabili sempre di prima mattina nelle zone verdi che danno possibilità di giaciglio.
Le aiuole occupate
A San Giovanni, per esempio, di notte le aiuole sono quasi tutte occupate, pure i giardinetti nei pressi della nuova stazione della metro alle 7 del mattino sono coperti di corpi dormienti o al primo sbadiglio, scarpe come un cuscino e gambe rannicchiate per tentare una strenua resistenza all’attacco dell’umidità. È così anche tutto intorno a Termini, con le aiuole davanti a piazza dei Cinquecento ormai diventate terra di conquista (talvolta di scontro, per questo spesso le forze dell’ordine vigilano l’area) per chi, di giorno, è costretto a bazzicare la stazione, non si capisce se è appena arrivato, se non sa dove andare o se spera di scappare saltando su un treno. Oppure in piazza Venezia, giusto sotto la scalinata che arriva in piazza del Campidoglio, nei giardini che danno sul capolinea dell’Atac: panchine occupate, resti di bivacchi, un uomo e una donna dormono sdraiati dopo aver infagottato gli effetti personali in un telone di plastica verde. Più o meno la stessa scena in piazza Sant’Andrea della Valle, lungo corso Vittorio Emanuele, dove una coppia da giorni ha messo su una casa di cartone appoggiandola sul travertino bianco della chiesa. È così in centro, ma non solo. In via Pola, municipio II, una traversa della Nomentana, è stata eretta una casetta cartonata ricavando spazio da un androne. Un’altra capanna, il solito dramma.