(Fonte: Corriere della Sera, di Massimo Sideri) – Provate a immaginare di uscire in questi giorni, con questo caldo, uno zaino enorme sulla schiena, i pedali sotto i piedi. E i sampietrini sotto le ruote. È facile essere solidali con i ciclisti che hanno un algoritmo (da Deliveroo a Foodora, JustEat e Glovo) come datore di lavoro. Purtroppo è anche facile pensare di usarli per farci portare la cena a casa con un clic, senza domandarci come tutto ciò avvenga. Quanto guadagnano? Quanto rischiano?
I «lavoretti» saltuari sono sempre esistiti. Anzi, fanno un po’ parte dell’educazione sentimentale al mondo del lavoro. Ma questo non è un buon motivo per non pensare a una regolamentazione come ha fatto la Regione Lazio con il primo testo di legge sulla cosiddetta Gig economy. La materia del contendere non è facile da gestire, come è emerso anche dai primi incontri del neoministro del Lavoro Luigi Di Maio con i rider e i gestori delle piattaforme. Non si possono applicare gli schemi dell’industria del Novecento. Ma nemmeno pensare che possa valere il laissez-faire, meno che mai in un contesto dove i soggetti sono internazionali e dunque con la pericolosa tendenza a fare la parte dei Golia. In questo senso il disegno di legge della Regione Lazio sembra una buona piattaforma per iniziare a ragionare a livello nazionale: non imbriglia come avrebbe fatto l’idea di Di Maio di assumere tutti i rider, ma punta a garantire ai ragazzi salario minimo e assicurazioni (che nel 2018 dovrebbe essere scontate).